Il risarcimento del danno da ambiente di lavoro insalubre
Sul datore di lavoro gravano numerosi obblighi, tra cui quello c.d. di prevenzione, previsto dall’art. 2087 c.c. e secondo il quale “L'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. La norma deve essere interpretata alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione, che in più occasioni ha offerto una lettura estensiva dell’obbligo non appena citato: il datore di lavoro non deve solamente “limitarsi” ad adottare le misure di sicurezza espressamente previste dalla legge in relazione al tipo di attività esercitata, ma deve altresì attuare tutte quelle ulteriori misure che sono concretamente necessarie in base al rischio concreto della prestazione, tenendo a mente che la sicurezza del lavoratore sui luoghi di lavoro è protetta dall’art. 41 comma 2° della Costituzione.
In questo senso, dunque, affinché il datore di lavoro possa essere dichiarato responsabile – e quindi condannato al risarcimento del danno - è necessario che il lavoratore che intenda ottenere il risarcimento del danno da ambiente di lavoro insalubre offra prova del danno patito, delle condizioni nocive dell'ambiente in cui si trova a svolgere le proprie mansioni, nonché del rapporto – il “nesso eziologico” - tra la violazione degli obblighi di prevenzione ed i danni subiti.
È necessario tenere a mente la fondamentale differenza che l’ordinamento italiano riconosce tra tutela previdenziale e tutela risarcitoria. La tutela previdenziale, anche detta assicurativa, infatti, è una forma di tutela che protegge il lavoratore per il solo fatto di aver subito un infortunio durante il turno di lavoro: in altre parole, il lavoratore che abbia subito un infortunio nello svolgimento della prestazione lavorativa avrà diritto ad accedere alle forme di previdenza obbligatoria (INPS, INAIL o Casse professionali) e complementare.
La tutela risarcitoria, invece, è una forma di tutela ulteriore a cui si può ricorrere laddove sia dimostrato che la lesione alla salute del lavoratore derivi dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti al datore di lavoro dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto (Cass. 15 giugno 2016, n. 12347).
Per questa ragione, secondo quanto stabilito dalla Cassazione per la risarcibilità del danno, è necessario che il lavoratore che lamenti di aver subito un danno alla salute a causa dell’ambiente di lavoro insalubre dia prova non solo dell’effettiva esistenza del danno, ma altresì della nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale tra l’insalubrità dei luoghi di svolgimento della prestazione ed il danno lamentato. In tal caso, spetterà allora al datore di lavoro dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno. In altre parole, citando l’orientamento prevalente della Suprema Corte “il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno differenziale da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare la esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno, ed il nesso causale di esso con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa non imputabile, e cioè deve avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno” (Cass. n. 1045/2018).
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