La disciplina del distacco del lavoratore
Già da una prima, sommaria analisi appaiono evidenti le similitudini strutturali con il diverso istituto della somministrazione, tra le quali spicca la caratteristica tripartizione del rapporto che vuole, in questo caso, la compresenza di un lavoratore distaccato, un datore di lavoro formale (o distaccante) ed un datore di lavoro sostanziale (o distaccatario).
L’art. 30 del succitato decreto detta una definizione in grado di disegnare la disciplina formale della materia: la fattispecie si configura laddove il datore di lavoro distaccante, al fine di soddisfare un proprio interesse, renda disponibile un proprio dipendente per un terzo distaccatario, colui che fruirà della prestazione e che, dunque, si vedrà riconoscere il diritto di organizzare e dirigere lo svolgimento della prestazione.
Dalla definizione può altresì ricavarsi una rilevante particolarità rispetto al rapporto di lavoro subordinato, “standard”, così come tipizzato dall’art. 2094 c.c.: il soggetto che usufruisce della prestazione è diverso dal datore di lavoro con il quale il contratto individuale è stato stipulato. Questa peculiarità, a ben vedere, non investe la totalità degli aspetti del rapporto di lavoro distaccato: il comma 2° del medesimo art. 30 immediatamente specifica che “In caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore”. In altri termini, ciò significa che nonostante la prestazione sia materialmente svolta presso un soggetto diverso, obbligato per l’obbligazione principale - ovvero per il versamento della retribuzione - nonché per tutto ciò che concerne i restanti aspetti della disciplina normativa, resta il datore di lavoro distaccante.
Affinchè il distacco possa considerarsi legittimamente posto in essere, si ritiene necessaria la compresenza di tre requisiti: la temporaneità; l’appena citata responsabilità retributiva, contributiva e disciplinare del distaccante; l’interesse specifico, rilevante e concreto in capo al distaccante. Si tratta di requisiti generici, dei quali dottrina e giurisprudenza hanno tentato, negli anni, di definire più precisamente i contorni.
Per ciò concerne il requisito della temporaneità, la dottrina maggioritaria si è orientata su una ricostruzione che individua la durata del distacco come necessariamente determinata - o per lo meno determinabile - a priori, non essendo configurabile un distacco a tempo determinato o posto in essere per un periodo di tempo non definito.
In merito agli specifici poteri riconosciuti al datore di lavoro distaccante e distaccatario, si è già accennato di quanto spetti al primo, potendosi ora specificare che a questi spetti anche il potere disciplinare; in relazione al distaccatario, invece, questi detiene il potere direttivo in riferimento alle attività quotidianamente svolte dal lavoratore.
Infine, si ritiene che l’interesse del distaccante debba essere connesso a specifiche ragioni tecniche, produttive o organizzative, concrete ed economicamente rilevanti; il requisito in parola si ritiene comunemente esistente, a titolo d’esempio, in società appartenenti al medesimo gruppo. E’ bene tenere a mente, però, che questo terzo requisito diviene più stringente – anche se la “specialità” della previsione appare formulata in maniera quantomeno curiosa - quando il distacco comporti il trasferimento ad un’unità produttiva sita a più di 50 chilometri di distanza, caso in cui si richiede l’esistenza di ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive comprovate.
In alcuni particolari casi, l’istituto in esame può presentarsi secondo la particolare accezione di distacco c.d. conservativo, qualora il distaccante ponga contemporaneamente uno o più dipendenti a disposizione del distaccatario, sì da rendere possibile la gestione di uno stato di crisi o di una diminuzione produttiva, salvaguardando al contempo la professionalità dei lavoratori, senza attingere ad ammortizzatori sociali o procedere a licenziamenti per giustificato motivo oggettivo o collettivi.
Ai sensi dell’art. 30 comma 3°, “il distacco che comporti un mutamento di mansioni, deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato”: si tratta di una previsione assolutamente peculiare in tema di ius variandi, considerato che l’adibizione a diversa mansione, quando rispettosa dei requisiti individuati ex art. 2103 c.c., è certamente perfetta benchè posta in essere unilateralmente dal datore di lavoro. La ragione di tale particolarità parrebbe potersi riscontrare nella volontà del legislatore, che sembrerebbe qui riferirsi ad un vero e proprio demansionamento, ipotesi ad oggi ritenuta legittima per i soli casi di modifica degli assetti organizzativi aziendali o di esplicite previsioni dei contratti collettivi, ma sempre e comunque nel rispetto della medesima categoria legale di appartenenza, oppure ancora - ed in questo caso senza il limite individuato dall’eguaglianza categoriale - nelle sedi individuate ai sensi dell’art. 2113 c.c. o avanti alle commissioni di certificazione. Quest’ultimo tema, applicato alla disciplina del distacco, è stato oggetto di una recentissima pronuncia della Corte di cassazione (Sent. 05 marzo 2020 n° 6289), la quale espressamente richiama un’ulteriore determinazione della Corte stessa (Sent. 13 dicembre 2018, n° 32330), nella quale è sancito che “anche in caso di distacco del lavoratore, con mutamento delle mansioni, anche solo parziale purché effettivamente idoneo a ledere il patrimonio di professionalità acquisito, ai sensi dell’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003 è richiesto, quale elemento costitutivo e condizione di legittimità della fattispecie, il consenso del lavoratore distaccato, il quale, ricevuta la comunicazione del provvedimento, è pertanto onerato del solo rifiuto ma non anche di rendere note le ragioni che lo sorreggono, rilevando a tali fini il solo mutamento oggettivo delle mansioni, quale conseguenza dell’attuazione dell’ordine”.
Per quanto riguarda l’apparato sanzionatorio, qualora il distacco sia posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al comma 1°, ovvero di quei requisiti che caratterizzano geneticamente la fattispecie, il comma 4-bis espressamente prevede che “[…]il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo”: su domanda di parte, proponibile entro il termine di decadenza previsto per l’impugnazione del licenziamento, il lavoratore interessato può ottenere l’imputazione del rapporto in capo all’effettivo utilizzatore.
Nel diverso caso in cui la violazione riguardi il comma 3° dell'art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003 (distacco dal quale discenda un mutamento delle mansioni per il quale sia richiesto il consenso del dipendente e distacco con trasferimento ad una unità produttiva sita a più di cinquanta chilometri da quella cui il lavoratore sia adibito che richiede la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive), la Corte di cassazione ha da poco chiarito, con la Sent. 11 settembre 2020, n° 18950, che non trova applicazione la sanzione collegata al comma 1°, segnatamente la costituzione del rapporto alle dipendenze dell’utilizzatore, “dovendosi ritenere, in base ad un'interpretazione letterale e logico-sistematica, oltre che rispondente ad un ragionevole bilanciamento di interessi, che solo alla ipotesi ritenuta più grave del distacco senza i requisiti fondamentali dell'interesse e della temporaneità sia riconosciuta la tutela civilistica di tipo costitutiva e sanzionatoria di tipo amministrativo (già di tipo penale), mentre per il "quomodo" attraverso cui il distacco venga attuato sia accordata solo la tutela civilistica di tipo risarcitoria.